Oggi vi parlo di Me…

camminare a piedi nudi e lasciare che le proprie impronte segnino i confini dei passi silenziosi, percepire il proprio peso, sentire la differenza tra l’appoggio sicuro e l’equilibrio, diventare padroni delle infinite possibili strade”.

Sono queste parole

sono lo spazio bianco tra esse 

sono l’inchiostro

sono il foglio 

sono l’attimo di sospensione mentre compongo la frase nutrita dai miei pensieri. 

Sono la necessità del dubbio mentre rileggo ciò che scrivo.

Sono semplicemente amore per la vita 

sono rispetto per la Madre Terra e il Padre Cielo.

Sono un’anima in cerca del suo posto sulla terra.

– Stefania Campanelli, Naturopata –

Il Naturopata è un “intermediario” nel rapporto tra la Persona, la malattia e le altre figure mediche sanitarie (medici, terapeuti, fisioterapisti, osteopati etc.).

Partendo dallo studio di questo modo di “accompagnare” la Persona, a completare il suo percorso evolutivo di consapevolezza nello stato di riequilibrio psicofisico, è nato il Progetto Therapeia – Professionisti della Salute e del Ben-essere Integrativo, insieme, per la Persona attraverso il “dialogo” tra la Medicina Convenzionale, la Medicina Complementare, la Fisioterapia e Riabilitazione, la Psicoterapia e le Terapie Naturali.

Therapeia è una parola di origine greca e significa: curare, guarire ed assistere, ed io aggiungo “mantenere” l’essere umano nella sua dignità e preservare la sua integrità durante la conoscenza della fragilità della sua “Forza Vitale”.

Tra il mio Se e il mio lavoro c’è un “ponte di luce”, necessario al mio “daimon”.

Ogni lavoro che ho scelto durante il mio percorso di vita è stato, ed è intriso di: anima, passione, vita, speranza, possibilità, volontà, amore, accoglienza, tutela, protezione, dono.

Dalla tutela dei Diritti Umani e Libertà fondamentali sono passata, oggi, alla Tutela del Diritto alla Salute, alla dignità, all’essere riconosciuti come Persone e non come malati, come esseri unici e irripetibili e non solo protocolli.

La mia professione di Naturopata e il progetto Therapeia nascono su questo ponte e da quel “cammino a piedi nudi”.

Nascono da un’esperienza personale di amore nel lungo viaggio della malattia “con” mio padre. 

Un percorso che nella difficoltà mi ha permesso di comprendere ciò che manca”, affinché l’uomo possa mantenere un suo decoro e, mi ripeto, preservare la sua integrità.

L’obiettivo è la qualità della vita, la salute, il ben-essere sia in ambito preventivo che durante un percorso nella malattia.

La Persona è al centro e ha un ruolo attivo, i Professionisti collaborano per garantire cure e terapie personalizzate non frammentate affinché la Persona non si perda nel percorso terapeutico e sfrutti al meglio il suo tempo per raggiungere il risultato che desidera.

L’obiettivo terapeutico concordato con l’Operatore guida la strutturazione del “Progetto di Cura” per ogni Persona anche sulla base delle sue esigenze.

Un “dialogo”, quello tra Professionisti necessario.

Non dimenticate mai: 

la Persona in cura dovrebbe essere rispettata nella sua essenza, il suo corpo ha valore di tempio vivente

– Stefania Campanelli, Naturopata –

Oltre Me

Non si possono vincere tutte le “battaglie spirituali” che si presentano lungo il nostro cammino. 

A volte inciampiamo proprio dove avremmo dovuto proseguire serenamente. 

È proprio lì, invece, in quel punto esatto, in quell’istante temporale che si manifesta a noi l’opportunità di tendere verso una maturità spirituale.

Il personale orizzonte, se l’osserviamo bene, non è poi così netto: è semplicemente la nostra prospettiva in una relazione solitaria intima con il Sé.

Occorre allontanare il bisogno di cambiare il prossimo per iniziare davvero a danzare verso Sé stessi, su quella linea che ci rende funamboli e separa i “mondi” interiori da quelli esteriori.

Quando avremo saggiato veramente l’essenza di ciò che rimane di noi senza le vesti delle strutture, dei “credo” obbligati, delle verità binarie, degli automatismi radicati, allora, e solo allora, potremo accogliere la nostra voce, nutrita e ricca delle infinite possibilità di comunicazione, con noi stessi e con il prossimo.

L’altro sarà accettato così com’è, nella comprensione che ognuno è “corretto”, è “giusto”, secondo la propria prospettiva.

Impareremo così, a “lasciar andare”, a far fluire liberamente la nostra energia e intenzione senza “aspettative”, con il piacere di DONARE.

Mossi dal desiderio di pace interiore, non avremo bisogno di mostrare al mondo chi siamo, o di ricercare l’approvazione, o di paragonarci agli altri.

Un percorso che ci porterà a comprendere la differenza tra “bisogno” e “volere”, tra “necessità” e “desiderio”, tra “urgenza” e “aspirazione”, tra “trattenere” e “lasciar andare”, tra “materia” e “essenza”.

Amarsi… perché?

Quante volte guardando il riflesso di ciò che pensiamo di essere ci chiediamo cosa significhi veramente Amarsi?

In qualsiasi “momento” o percorso di crescita personale ci viene detto ÀMATI e poi, solamente dopo esserti riconosciuto, vai verso l’altro.

“Amerai il prossimo tuo come te stesso” era un comandamento antico, scritto nella legge di Mosè e Gesù stesso lo cita come tale (Lc 10, 27).

Ma qual’è il contenuto profondo di questa metafora di vita?

“Il prossimo sei tu, cioè colui che tu puoi diventare. Il prossimo non esiste in partenza, si avrà un prossimo solo se si diventa prossimo di qualcuno…”

È, oggi, questa, un’interpretazione riconosciuta da gran parte degli studiosi delle scienze teologiche, psicologiche e filosofiche.

Dunque, AMARSI cosa vuol dire?

In primis, imparare a mettere confini sani fra TE e gli ALTRI, dunque creare una RELAZIONE con l’intimo TE per poi entrare nel mondo.

Secondariamente non TRADIRE TE STESSO per compiacere l’esterno, ossia non scivolare in un meccanismo di bisogno di riconoscimento a spese dell’autenticità della tua essenza e al contempo non pretendere dall’ALTRO che si adegui alle tue aspettative; concetto che potremo sintetizzare con la parola LIBERTÀ.

Non c’è AMORE senza LIBERTÀ e non c’è probabilmente neppure una VERA RELAZIONE, poiché ciò che è “vero” ha bisogno di essere LIBERO.

Una parola forte LIBERTÀ, con una grande vibrazione che comporta RESPONSABILITÀ e SFIDE.

Quanti di “noi” trascinano nella vita, ogni giorno, rapporti “malati”, poveri e carenti di valori, di energia e forza.

Tutti “noi” siamo passati almeno una volta per la strada di automatismi autodistruttivi, pur di non ammettere a noi stessi e poi agli altri che qualcosa era cambiato o a volte anche finito.

In qualsivoglia rapporto: marito e moglie (personalmente preferisco definirlo compagno e compagna di viaggio), genitori e figli, fratelli e/o sorelle, amici, colleghi, conoscenti, può accadere che non ci sia più AMORE, inteso come forza archetipa di LIBERTÀ.

– Pensieri in volo, di Stefania Campanelli Naturopata

Therapeia

Il Reiki oltre la filosofia, con uno sguardo verso la scienza

Il Reiki è energia vitale universale che nel linguaggio simbolico delle parole si può tradurre in: amoreveritàfiducia, flusso energeticoequilibriorilassamento, armonia, autoconoscenza, distensione, esperienza di Sé, forza psichica e fisica, colori, profumi

Un antico e semplice metodo che utilizza l’imposizione delle mani per ripristinare un armonico flusso energetico nell’organismo.

La nostra condizione di Ben-essere dipende dallo stato di equilibrio tra il corpo, la mente e lo spirito, è in questo concetto di trinità che ritroviamo il principio di Forza Vitale: l’insieme di quelle forze connesse e interdipendenti, presenti durante tutto il cammino dell’uomo.

La Forza Vitale, come la definì S. Hahnemann, è una guida invisibile, capace e intelligente che, insieme ad altri fattori, regola i meccanismi di autodifesa dell’organismo, permette di liberare il corpo dall’energia bloccata limitando i danni di una malattia che può sfociare in una crisi acuta: ad esempio un banale raffreddore può essere il modo per eliminare sostanze tossiche dal corpo, consentendo allo stesso di ritrovare il suo equilibrio.

Accade, tuttavia, che la Forza Vitale non riesca ad esprimersi nella sua efficienza, sviluppando nel corpo affezioni croniche a lungo termine (riprendendo l’esempio del raffreddore, in questo caso si potrebbe manifestare con un meccanismo reiterato nel tempo, un raffreddore dietro l’altro, sfociando in asma cronica).

Il Reiki potenzia e armonizza la circolazione energetica a livello emotivo, mentale e fisico, porta ad un profondo rilassamento, facilita lo sciogliersi dei blocchi energetici e stimola i naturali processi di autoguarigione dell’organismo rinvigorendo la Forza Vitale.

L’energia vitale universale è tutto ciò che sopravvive: piante, animali, esseri umani.

Questa energia circonda e alimenta ogni corpo che in tale forza trova la via per esistere, crescere e guarire.

Dopo la nascita siamo in grado di assorbire liberamente questa energia e di trasmetterla.

Cosa interrompe questo flusso armonico e naturale di energia vitale universale?

La nostra vita emozionale, il nostro intelletto e gli automatismi radicati nel tempo.

La Forza Vitale quando non scorre liberamente in noi, a causa di blocchi che inconsciamente o attraverso meccanismi ripetuti mettiamo in essere, perde di vigore e produce uno stato di carenza di energia che predispone a malattie e a rallentamenti nella guarigione. 

Il Reiki aiuta a ripristinare lo stato di equilibrio e benessere della Forza Vitale.

Negli ultimi anni la ricerca sul Reiki e la sua possibile validazione come strumento integrativo nella cura del dolore ha trovato spazio in diverse pubblicazioni e riviste scientifiche accreditate.

Ad oggi non si può certo parlare di evidenza scientifica, ma di innumerevoli studi pilota e osservazionali sì.

“Il centro Oncologico Ematologico Subalpino dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni Battista di Torino, Ospedale Molinette, nel 2003 ha avviato un progetto pilota con la finalità di svolgere un’indagine, sull’efficacia dei trattamenti Reiki nell’accompagnare dei malati oncologici nel corso delle diverse fasi della malattia.

Si è potuto constatare, da questo studio, che il trattamento Reiki ha prodotto un profondo stato emotivo di tranquillità e rilassamento nell’ambito del dolore e dell’ansia, con la possibilità, in alcuni casi, di migliorare la capacità di affrontare cure farmacologiche prolungate.

Nello specifico, si sono riscontrati benefici sugli effetti collaterali indotti dal trattamento chemioterapico, quali: nausea e/o vomito, astenia (se la seduta Reiki veniva effettuata durante la somministrazione di farmaci).

Seppure lentamente, rispetto ad uno sguardo più ampio nel mondo, in diversi Ospedali italiani si sono avute segnalazioni di esperienze Reiki al fianco delle terapie convenzionali, in via sperimentale.

Ad es. il Centro di Medicina Psicosomatica dell’Ospedale S. Carlo di Borromeo di Milano, l’Ospedale Versilia dell’Azienda Sanitaria della Regione Toscana, l’Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma e altri (https://iomn.it/progetto-reiki-in-hospice-e-oncologia/)”.

Un po’ di storia

Il fondatore del Metodo Reiki è Mikao Usui, un monaco cristiano, nato in Giappone nel XIX secolo.

Lavorava presso l’Università di Kyoto in Giappone.

Si racconta che, di fronte alla richiesta di un suo studente, il quale si presume fosse la prova per guarire con l’imposizione delle mani, iniziò il suo viaggio alla ricerca di risposte, visitando numerosissimi monasteri buddisti fino a trovare degli appunti presi da un discepolo di Buddha, tali scritti riferivano come il Buddha guarisse la gente e come egli utilizzasse diversi simboli in riferimento alle guarigioni. 

Purtroppo, con suo grande dispiacere non riuscì a scoprire il significato di tali simboli e neanche a capirne il loro potere terapeutico.

Dopo un periodo di ventun giorni di meditazione, cadde in trance per diverse ore e, quando riprese coscienza, comprese il significato dei simboli, percependo dentro di Sé la presenza dell’Energia Universale che doveva condividere con il mondo.

Da quel momento in poi, la vita del Usui fu dedicata all’opera dell’autoguarigione.

Iniziò dai bassifondi di Kyoto dove apportò benessere ai mendicanti con l’imposizione delle mani e li mise nelle condizioni di badare a loro stessi. 

Comprese nel suo percorso di guaritore che non tutte le Persone potevano essere sostenute nel loro processo di recupero psicofisico e quindi decise di dedicarsi solamente a chi realmente desiderasse assumersi la piena responsabilità della propria guarigione.

Tramandò il suo sapere al Dr. Hayashi, uno dei suoi più intimi discepoli, il quale fondò una clinica dove i pazienti venivano curati con il Reiki.

Velocemente la disciplina Reiki si diffuse in tutto il Giappone e negli Stati Uniti grazie a una donna hawaiana, Hawayo Takata, che successivamente, nel 1980 trasferì la sua missione alla nipote Phillis Lei Furumoto, morta il 31 Marzo 2019, che ricopre, tuttora, il ruolo di Gran Maestra di Reiki, ha fondato il Reiki Alliance, un’organizzazione mondiale di Maestri   Reiki.

Il “valore” simbolico delle parole

Ascoltarsi per cogliere le proprie metafore.

Soffermarsi e condividere il significato qualitativo delle parole porta a una comprensione di “noi” nel mondo e contemporaneamente annulla i possibili fraintendimenti che inevitabilmente determinano un giudizio.

Nel nostro immaginario, ad esempio, cosa evoca la parola aggressività?

Per la maggior parte delle persone è paragonabile alla rabbia o alla violenza.

Aggressività, invece, dal latino aggressus, participio passato del verbo aggrĕdi, significa andare verso le cose, un luogo e/o una persona: “cammino per andare verso…” è una qualità, ossia ci vado con veemenza o in punta di piedi.

Ecco che l’etimologia di questa parola non è più rappresentativa di ciò che ci abbiamo costruito sopra, ma può essere indicativa di una valenza positiva, in quanto legata all’energia vitale, a una forza fondamentale per la sopravvivenza dell’essere umano che lo spinge a non sacrificare, nell’incontro con il mondo, i propri bisogni individuali (psicoterapia della Gestalt). 

L’aggressività, secondo Perls, è un’attività auto-affermativa con cui l’io (non più visto come un’istanza ma come una funzione dell’organismo) può assimilare o rifiutare l’ambiente, a seconda che esso sia nutriente o nocivo.

Dunque, indossare le parole nel modo giusto equivale a osservare come ci “muoviamo” dentro di noi e a prendere coscienza di cosa accade al nostro “sentire” nella relazione con l’altro.

Prendiamo, ad esempio, un altro vocabolo: “istintivo”.

Istintivo non è uguale a impulsivo. 

Anche in questo caso i due termini vengono spesso confusi. 

L’istinto è quella forza interna sconosciuta alla parte cosciente che ci porta esattamente dove dobbiamo andare, l’impulso è il “troppo pieno”, la pentola a pressione che scoppia, l’emozione trattenuta che fuoriesce in maniera incontrollata.

Pertanto, come ci definiamo è importante: le parole hanno un significato proprio e una vibrazione nella loro originaria derivazione.

È grazie alle parole che l’ansia e le tensioni interiori divengono energia vitale.

È con la chiave simbolica dei vocaboli che possiamo vivere le “esperienze” passate, presenti e future depurati da una valutazione di ciò che è bene e di ciò che è male.

La parola “cura” e “impoverisce” a seconda della comunicazione che mettiamo in atto con il linguaggio.

Il corpo si manifesta attraverso la parola!

Le parole generano azione e possono, dunque, “nutrirci” o colpirci dritto nei nostri vissuti più intimi e ferire la nostra delicatezza dell’anima.

Saper usare un linguaggio ricco di parole rispettose, accoglienti, delicate, amorevoli rivelerà a noi stessi la possibilità che abbiamo di “essere” veramente e ci permetterà di soffermarci sull’effetto che le parole hanno verso l’esterno: il nostro interlocutore.   

Rieducare al significato etimologico delle parole significa apportare al nostro vivere quotidiano “ben-essere”, entrare in relazione con il nostro centro e con l’esterno.

Ognuno di noi è sceneggiatore della propria storia, il linguaggio è al nostro servizio per dare forma ai nostri pensieri e cibare la nostra mente, scegliamo di essere scrittori della nostra pagina di vita, affrontiamo i nostri limiti attraverso messaggi adeguati, positivi e funzionali.

Stimoliamo l’intelletto a fare un inventario delle parole da usare, ogni comunicazione non è mai neutra, siamo noi i generatori di intenzioni di valore, e l’altro, sarà così trasformato, egli stesso, dal nostro incontrarlo nelle parole di benvenuto.

In tal senso, le Neuroscienze ci sono d’aiuto per comprendere meglio come il cervello reagisce a seconda degli input (le parole) che gli forniamo. I vocaboli, infatti, agiscono su di esso stimolando la secrezione di diversi ormoni. Ad esempio, l’esposizione continua a parole e frasi negative, come la parola “No” stimola il rilascio di cortisolo l’ormone deputato allo stress, viceversa, l’utilizzo di espressioni positive attiva una reazione neuronale a catena che ci spinge all’azione.

Il nostro cervello non è organizzato per codificare ed elaborare le negazioni in quanto sono un concetto astratto; quindi, per comprendere una negazione dobbiamo immaginare la parola che esiste e poi negarla. Tutto ciò è un dispendio di energie e risorse mentali.

Tutto sta nella parola… Tutta un’idea cambia perché una parola è stata cambiata di posto, o perché un’altra si è seduta come una reginetta dentro una frase che non l’aspettava e che le obbedì… Hanno ombra, trasparenza, peso, piume, capelli, hanno tutto ciò che si andò loro aggiungendo da tanto rotolare per il fiume, da tanto trasmigrare di patria, da tanto essere radici sono antichissime e recentissime” – Pablo Neruda -.

La ritualità del gesto nell’affermazione dell’essere a contatto con sé stessi. Soffermarsi sul significato simbolico del gesto corporeo

Ogni mattina ci alziamo e ci apprestiamo a vivere la nostra giornata.

Nel fare ciò compiamo dei piccoli rituali che hanno una grande potenzialità espressiva e senza rendercene conto camminiamo nel mondo tracciando un processo creativo.

Mentre comunichiamo e ci costringiamo in gabbie stereotipate di azioni e parole programmate, il nostro corpo senza rendercene conto disegna vere e proprie opere d’arte invitandoci a fare esperienza di noi stessi, ad es. diciamo di SI a qualcosa o qualcuno, e nello stesso istante il nostro copro si ritrae in un atto che annuncia un chiaro NO, o ancora abbracciamo “l’altro” e allo stesso tempo allontaniamo il nostro corpo indietro come se dovessimo evitare un pugno nello stomaco e tendiamo solo le braccia in una spinta in avanti, accompagnando la mano con piccoli colpetti ripetuti sulla schiena di chi dovremo stringere veramente.

Potremo fare tanti esempi di come a parole o azioni entriamo in relazione con il nostro corpo e di come un vissuto, un’esperienza possono essere mortificanti o arricchenti.

“La semplicità rende l’anima più trasparente”, eppure non riusciamo a “essere corpo”, a radicarci, e collegarci all’ambiente attraverso l’energia delle gambe e dei piedi per delimitare confini sani dalla realtà fisica. 

Perdere la connessione con il nostro essere equivale a smarrire la nostra “casa” spirituale, a vivere l’esperienza di Sé in modo frammentato.  

Sviluppare il linguaggio non verbale tramite il movimento consapevole è un invito a riconoscere e dare valore al gesto archetipo; disegnare e far dialogare il corpo nella ripetizione libera e spontanea di gesti quotidiani diviene essenza, vibrazione e presenza.

I gesti dicono molto della nostra e altrui personalità (e per gesto intendo, appunto, qualunque movimento corporeo) della capacità di essere presenti, osservare l’unicità e l’irripetibilità.

Solamente stabilendo una relazione di ascolto con la nostra fisicità possiamo vedere ciò che ci condiziona e interrompere abitudini e automatismi.

Il movimento consapevole stimola la persona alla riconquista delle “qualità della sua presenza attiva”, apportando una sorta di equilibrio psicofisico e vigore all’energia vitale.

Un inno a riappropriarsi gradualmente del proprio corpo, riconoscerlo, sentirlo respirare e sbloccare contemporaneamente ai modelli motori gli atteggiamenti e schemi radicati da tempo.

A. Lowen sosteneva che “tutta la storia di una persona prende forma nel suo corpo, ogni emozione, esperienza sensoriale aspetto del carattere si plasmano nella struttura muscolare dell’individuo, determinando la postura e l’aspetto morfologico. 

Per questo motivo molte sofferenze psicologiche, ansia, depressione o paura, determinano, il più delle volte, disagi fisici che sfociano in tensioni muscolari e in posture scorrette che portano nel tempo a vere e proprie deformazioni posturali”.

La lettura del movimento è una strada diretta all’inconscio, a un’immagine immediata di Sé.

La comunicazione non verbale è la relazione tra interiorità e movimento corporeo, tra la capacità di leggere il proprio corpo e le sue reazioni organiche, è la possibilità di riconoscere il proprio tempo e ritmo interiore.

Ecco perché diventa importante una pratica educativa basata sull’arte del movimento.

“Se sei un corpo vivo nessuno può dirti come sperimentare il mondo. E nessuno può dirti cosa è la verità, perché la sperimenti da te stesso. Il corpo non mente.” – Stanley Keleman – 

Dal mese di aprile terrò incontri di movimento consapevole – con la pratica del Metodo Hobart®-, insieme a una trainer esperta in varie tecniche di movimento, Monica Benzi.

Il Metodo Hobart®, è aperto a tutti, in particolare è rivolto ai diversamente abili, ad anziani, malati con difficolta di memoria, con sindrome di Parkinson, persone con disabilità fisiche, psichiche, disturbi pervasivi dello sviluppo, persone menomate da incidenti.

Un’esperienza tesa a formare la persona nell’unità mente-corpo e nelle sue innumerevoli possibilità espressive, arte, cultura, ricerca, potere educativo del movimento e della musica/sonorità: all’interno di uno spazio che diventa lo spazio comunicativo, dove si trasmettono emozioni ed i partecipanti entrano in relazione sperimentando le infinite possibilità del proprio corpo danzante

Apparato digerente: archetipo dell’elemento terra nella simbologia della trasformazione

“Un sintomo è lì per ricordarci che c’è qualcosa che manca, uno squilibrio, un trauma, un’emozione dolorosa, sopprimerlo significa il più delle volte cronicizzare, nascondere le cause profonde che ci hanno portato a quella malattia e che ci impediscono di guarire…” (Rocco Carbone, Compendio delle terapie naturali minori)

Metaforicamente, l’apparato digerente è rappresentato dall’uroboros, un simbolo antico (serpente o drago che si morde la coda) che tutto genera e tutto assorbe in una circolarità senza inizio né fine – dalla bocca con la sua dentatura fino all’ampolla rettale, passando attraverso l’esofago, lo stomaco, l’intestino (duodeno, tenue e crasso), con la collaborazione di pancreas, fegato e cistifellea.

La valenza simbolica della digestione recupera la sua identità nel cervello e nelle funzioni cerebrali, ovvero la coscienza, la quale elabora e digerisce le “immagini” immateriali del mondo.

L’accettazione di ciò che proviene dall’esterno – il “diverso”, l’ignoto – prendono forma nella materia attraverso la valenza che viene data al cibo che viene introdotto – emozioni e affetti.

Non ci stupiremo, dunque, se lo stomaco si rifiuta ad es. con l’inappetenza o il vomito di ingerire un alimento in particolare; introdurre un alimento equivale, per il nostro psicosoma, a diventare quello stesso alimento identificandosi con ciò che esso rappresenta.

Lo stomaco, da un punto di vista anatomico, è un tratto dilatato del canale alimentare, interposto fra l’esofago e l’intestino – si trova nella cavità addominale, subito sotto il diaframma, e ha la forma di sacca allungata (si distinguono tre parti principali: il fondo, il corpo e la parte pilorica o antro).

Simbolicamente come organo cavo rimanda al vaso, alla caverna e alla grotta, tutte figure femminili (capacità di accettare, accogliere, custodire, assorbire le impressioni…) che si contrappongono ad un’altra funzione dello stomaco da attribuire al polo maschile: attività di elaborazione “dell’informazione” alimentare ad opera dell’acido cloridrico (produzione ed emanazione dei succhi gastrici) che allegoricamente rappresenta un “fuoco” purificatore e trasformatore.

Per gli Alchimisti lo stomaco è considerato il “forno interiore”, il “laboratorio” che fornisce quotidianamente nutrimento vitale (inteso sia in senso materiale sia come affetti) per ogni distretto dell’organismo.

Lo stomaco raffigura, dunque, la sintesi di attività/passività, autonomia/indipendenza, ma anche un “luogo” di discriminazione, scelta e decisione.

Prendiamo in esame la gastrite, è un processo d’indebolimento della parete interna dello stomaco che comporta un’infiammazione della mucosa che riveste tale parete: è spesso causata da eventi stressanti, come un’alimentazione scorretta che aumenta con cibi ad alto contenuto di grassi che accrescono il “fuoco interno”, o l’assunzione di farmaci antinfiammatori (FANS) che possono sfibrare la barriera difensiva dello stomaco.

In fase acuta vi è spesso dapprima, un aumento dell’acidità e poi l’esaurimento della capacità di produrre acido cloridrico – gastrite cronica atrofica – con conseguente annullamento del fattore intrinseco necessario all’assorbimento della vitamina B12 (si viene così a creare uno stato anemico).

Allegoricamente, l’aumento dell’acidità gastrica e/o la riduzione delle difese della parete dello stomaco esprimono un meccanismo auto-aggressivo, il succo gastrico morde, disfa, aggredisce – è senza alcun dubbio aggressivo.

Chi soffre di gastrite non ha la capacità di controllare consapevolmente la propria rabbia e la propria aggressività (o non la esprime affatto – inghiotte tutto – o mostra un’aggressività esagerata); lo stretto rapporto esistente tra psiche e secrezione gastrica è noto da quando Pavlov (medico, fisiologo ed etologo Russo) compì i suoi famosi esperimenti: Pavlov dava ai suoi cani del cibo e contemporaneamente sonava una campanella, producendo così un riflesso condizionato, per cui dopo qualche tempo bastava il suono della campana per produrre l’acidità gastrica.

La gastrite precede sempre l’ulcera gastrica o duodenale che si presenta come soluzione di continuità della mucosa gastrica, una piccola ferita a volte sanguinante frequente in persone con un quadro psicologico dipendente o iperattivo: in questo caso l’erosione, non più superficiale, si forma o per eccesso di secrezione acida o per riduzione della produzione di muco (ricordiamo che sopra le cellule della mucosa lo stomaco è rivestito da muco, prodotto dalle cellule della mucosa stessa). 

L’eziologia dell’ulcera gastrica o duodenale sembra strettamene correlata anche all’azione gastrolesiva di un batterio Helicobacter Pylori, batterio saprofita intestinale che risale l’intestino quando la valvola ileo-cecale non è più a chiusura ermetica: l’eradicazione con antibiotici non risolve la disbiosi intestinale che è pressoché una costante (l’aumento del volume dei gas intestinali e/o putrefazione dei cibi forzano la valvola ileo-cecale rendendola così incapace di confinare i batteri).

L’ulcera predispone al cancro e i sintomi variano con un ritmo diverso a seconda che la sede dell’ulcera sia gastrica (pasto-benessere-dolore-benessere) o duodenale (pasto-benessere-dolore che cessa solo ingerendo altro cibo). 

Coloro che soffrono di gastrite e/o ulcera gastrica o duodenale dovrebbero imparare a prendere coscienza dei propri sentimenti, ad elaborare consapevolmente i conflitti e a digerire responsabilmente le proprie impressioni e sensazioni.

Consigli naturopatici

  • Corretto stile di vita e Alimentazione: ridurre lo stress con il movimento fisico (camminare all’aria aperta almeno 40 minuti tutti i giorni), mangiare lentamente, evitare pasti abbondanti in modo da saziarsi senza appesantirsi (soprattutto la sera). Eliminare i cibi che contengono una o più molecole nervine – agenti irritanti per la mucosa gastrica: alcool, caffeina, teina, bevande energetiche, gassate e le spezie. Ridurre i cibi conservati con il sale come gli insaccati, i formaggi molto stagionati, gli inscatolati in salamoia e limitare il consumo di alimenti grassi e proteici: carne rossa, hamburger, pancetta etc., evitare la frutta acidula. Da preferire alimenti facilmente digeribili quali: pesce magro, ortaggi, carne magra, cereali, leguminose e formaggi freschi. La cottura dei cibi è determinante, preferire metodi di cottura semplici: bollitura, vapore, cartoccio al forno, padella a fuoco moderato. Non combinare importanti porzioni di carboidrati con le proteine, in quanto necessitano di un pH differente nella digestione.
  • Floriterapia: Rock Rose, utile per il cardias, quando la “bocca” dello stomaco si chiude perché un’emozione è troppo difficile da elaborare (la sensazione che ciò che dobbiamo ingerire “non va giù”); Holly, per lo stomaco e il piloro, quando sono bloccati o rallentati a causa delle emozioni tipiche del fegato che riflettono su questi organi (rabbia e gelosia); Aspen, per i disturbi gastrici; Honeysuckle, supporta i disturbi legati al libero fluire dall’intestino tenue al colon (attraverso la valvola ileocecale) e taglia i “legacci delle memorie”, automatismi e  resistenze; Rock Water  e Gentian, riattivano la funzione di espletamento intestinale (peristalsi in caso di stipsi) e conseguentemente riequilibrano la dimensione emozionale delle incertezze e dubbi aiutando a trasformare in nuove opportunità ciò che preoccupa; Impatiens, utile nei casi di gastriti acide con secrezione anticipata che trova la quiete solo ingerendo alimenti assorbenti (es. pezzi di pane); Cherry Plum, in caso di cattiva digestione; Chicory, per le fitte allo stomaco legate all’ansia.
  • Gemmoterapia: sono indicate le gemme di Ficus Carica (Fico), Alnus Glutinosa (Ontano Nero) Junglas Regia (Noce).
  • Tisane e/o Infusi: sempre utili momenti dedicati, accompagnati con una tazza di rafano bianco, camomilla, melissa, salvia, menta e calendula; è importante valutare, in base al caso specifico, quali delle suindicate Tisane e/o Infusi vanno utilizzate e come.  
  • Altro sostegno integrativo può essere dato dall’utilizzo congiunto di Oligoterapia e Aromaterapia: in questo caso possono essere suggeriti oligoelementi come: Manganese-Cobalto e Bismuto; mentre in Aromaterapiasono consigliati gli oli essenziali di menta peperita, finocchio, maggiorana e zenzero (possono essere utilizzati per inalazione tramite un diffusore di essenze, per assorbimento epidermico per mezzo di massaggi).

Importante: gli oli essenziali non vanno mai utilizzati puri è sempre importante diluirli, nel caso del massaggio in un olio vettore. Prima di mettere in pratica consigli aromaterapici, è bene rivolgersi ad un Professionista, in quanto gli Oli Essenziali, se da un lato hanno proprietà e qualità atte a migliorare il benessere psicofisico, dall’altro – al pari di ogni altra sostanza – essendo estremamente concentrati possono provocare effetti indesiderati (ad es. irritazione di mucose e/o cute e reazioni allergiche).

Il loro uso non sempre è indicato.

Il respiro: ritmo e tempo di vita nel simbolismo del dare e avere 

Inspirazione ed espirazione sono due momenti fondamentali del ciclo della vita: veniamo al mondo con un’inspirazione e lo lasciamo con un’ultima espirazione.

Stefania Campanelli – Ph. Dorin Mihai
Foto scattata presso il Movimento Centrale Danza e Teatro durante un seminario del Metodo Hobart

Ascoltare il ritmo del proprio cuore attraverso il “soffio vitale” e percepire che l’esistenza stessa è respiro!

Le cellule del nostro corpo come ottengono energia? 

Attraverso la respirazione cellulare, ossia un processo metabolico di interazione tra il mondo interno e il mondo esterno.

Il respiro è, dunque, archetipo dello “scambio” del prendere e restituire nel rapporto con il mondo esterno: relazione tra l’intimità dell’Essere e la comunità dell’Io.

Un pulsare che ci insegna che prima di poter ricevere dobbiamo necessariamente imparare a lasciar andare e prima di restituire al mondo dobbiamo dare a noi stessi.

Esistono persone che inconsciamente si concentrano maggiormente sull’atto d’inspirare e altre che sanno solo espirare, in un’unica direzione di prendere o dare; è in questa mancanza fluida di alternanza equilibrata che si svuotano i nostri contenuti più preziosi e che perdiamo il contatto con la madre terra e la relazione con il mondo esterno.

Inspirare ossigeno, amore ed energia vitale per “radicarci”, come un albero che veicola il flusso della linfa dalla terra alle foglie e dalle foglie alla terra, e sentire che siamo parte del “tutto”, il meraviglioso Universo; espirare per liberare le nostre emozioni “lasciando andare”, imparando ad abbandonare il campo, a “perdere”, a fidarci dell’ignoto intriso del valore dell’accoglienza nonostante lo “sconosciuto”. 

Un modo sano per partecipare alla vita consapevolmente!

Esplorare il proprio respiro con tecniche ed esercizi, e mettersi in un ascolto attivo, ci permette di iniziare un cammino verso la percezione di ogni singolo movimento riflesso, e a erigere la nostra consapevolezza: quali parti del nostro corpo si muovono? 

Il ventre si espande o si restringe, le spalle si alzano o si abbassano, le costole, l’addome o addirittura i fianchi si muovono in simultanea mentre inspiriamo ed espiriamo? 

Alla cassa toracica succede qualcosa? La nostra schiena cosa fa? Si distende?

Ognuno attraverso il respiro potrà sperimentare il contatto con il proprio corpo e con il proprio Sé. 

Un’esperienza tesa a formare la persona nell’unità mente-corpo.

Esistono 4 tipi di respirazione: 

– Alta e clavicolare: lavora sulla parte alta dei polmoni, è connessa ad un respiro corto e ansioso ed è caratterizzata da inspirazioni ed espirazioni brevi e veloci (si nota spesso nelle donne in dolce attesa negli ultimi mesi della gravidanza quando il bambino occupa gran parte della porzione addominale e non consente al diaframma la sua corretta funzione);

– Diaframmatica-addominale: è collegata al rilassamento e al plesso solare (centro di fibre nervose situato all’inizio dell’aorta), promuove un’ottima ossigenazione del sangue; produce, grazie all’attività costante del diaframma, un massaggio agli organi della cavità addominale favorendo il transito intestinale.

– Diaframmatica-intercostale: è quella che si attiva a riposo, spontaneamente, in modo autonomo; la zona centrale del polmone si riempie con espansione della cavità toracica e separazione delle costole.

– Completa: è l’unione delle tre tipologie sopra citate finalizzata alla ricerca della qualità e del controllo del respiro cosciente. 

L’atto del respirare diventa un movimento ritmico capace di ristabilire un equilibrio, una relazione, un contatto, un nutrimento consapevole di ciò che siamo e di ciò che diventiamo nell’incontro quotidiano con l’altro, con l’esterno. 

Il cibo nutrimento emotivo

Esiste un rapporto profondo, istintuale e simbolico tra il cibo e la psiche.

Il cibo è archetipo delle energie vitali del mondo: una sorgente di amore, solidarietà, comunione tra le culture, un valore spirituale e unico che accompagna la storia dell’uomo nel tempo.

Il cibo è, altresì, rappresentativo della storia personale di ognuno di noi: si unisce alla nostra interezza fin dal momento della nascita con la lattazione in un unicum indistinto di proprio esseremadre ambiente.

Una fonte di energia per il corpo e per la mente in tutte le sue dimensioni che nel suo linguaggio simbolico si traduce in relazione (mamma-neonato), affetti, comunicazione, desideri, bisogni, esperienza, gratificazione, nutrimento creativo.

Il cibo mantiene durante tutta la nostra vita la metafora di amore e cura.

Pensiamo, ad esempio, alla digestione e alla sua analogia con le funzioni cerebrali, il cervello – ovvero la coscienza –, esprime l’accettazione del mondo esterno sotto forma di impressioni materiali attraverso la valenza che viene data al cibo introdotto: emozioni e affetti.

Introdurre un alimento, dunque, equivale, per il nostro psicosoma, a diventare quello stesso alimento identificandosi con ciò che esso rappresenta.

Se non abbiamo imparato ad amarci cercheremo l’amore fuori di noi!

È in questo approccio olistico che il Naturopata accompagna la Persona all’educazione alimentare.

Nutrizione e benessere nell’educazione all’alimentazione eubiotica.

Lo stile alimentare è, dunque, un capitolo importante della nostra vita, in quanto poggia le sue radici nell’istinto di sopravvivenza (il primo atto quando veniamo alla vita è respirare, il secondo è nutrirsi).

Un equilibrio salutare nell’alimentazione non si raggiunge con un semplice atto fisico al cibo, bensì con l’attenzione alla sacralità del momento del pasto intriso di corredo emotivo, psicologico e relazionale.

È in questa visione di accoglienza a ciò che introduciamo nel nostro corpo per il nutrimento che ritroviamo i principi fondamentali dell’alimentazione eubiotica sulla qualità del cibo nelle sue caratteristiche basilari di: naturalità (non utilizzare prodotti che provengono da coltivazioni intensive e esaminare la biodiversità del territorio), integrità (evitare cibi che derivano da coltivazioni con l’utilizzo di pesticidi, anticrittogamici, antiparassitari e diserbanti) e integralità (impiegare alimenti che non siano stati sottoposti a trattamenti di eccessiva raffinazione e di sterilizzazione termica o radiante, responsabili di una inattivazione dei fattori probiotici dei nutrienti). 

Attenzione al cibo consolatorio, che ci appesantisce e aumenta l’insoddisfazione

suggerimenti

  • Apprezzare il rito del cibo senza fretta, senza correre, masticando piano, stando seduti comodamente ad una tavola gradevolmente imbandita, in raccoglimento con gli altri commensali.
  • Rispettare la piramide alimentare – base dell’alimentazione eubiotica: 1° livello, alimenti fondamentali: cereali, verdure, olio extra vergine di oliva (come condimento), privilegiare il pane al “companatico”; 2° livello, alimenti complementari: latte, latticini, pesce, legumi e frutta; 3° livello, alimenti complementari facoltativi (a più ridotto consumo): formaggi, uova, miele vergine integrale; al vertice della piramide, alimenti occasionali: carni, salumi, insaccati, grassi animali, oli di semi raffinati, zucchero raffinato, dolciumi e bevande dolcificate.
  • Basare i pasti principali su un monopiatto, costituito da un unico alimento di base come il primo (pasta, riso, minestre con verdure o legumi) o il secondo (carne, pesce, uova, formaggio) accompagnato da insalata mista o verdura cotta.
  • Ricordare di bere almeno due litri di acqua al giorno in quanto depura l’organismo, dà il senso di sazietà e non fornisce calorie (anche attraverso l’assunzione di tisane, tè, infusi, senza zuccheri).
  • Erbe aromatiche fresche e secche consentono di ridurre l’uso del sale e dei grassi, danno sapore e forniscono preziose sostanze antiossidanti.
  • Prediligere prodotti di stagione, magari proveniente da culture biologiche.
  • Preferire una cena leggera perché dormiremo meglio (migliora anche la condizione di chi soffre di reflusso gastroesofageo e gonfiori di pancia).
  • Limitare il consumo di latticini con la carne o il pesce per evitare un rallentamento digestivo.
  • Evitare il consumo di frutta alla fine del pasto, a maggior ragione se il pasto è a base di legumi o cerali, poiché potrebbe causare fermentazione.
  • Evitare il cibo “spazzatura”, cioè impoverito di centinaia di sostanze nutritive e incrementato di sale, zucchero e grasso (tra cui ricordiamo: aromi artificiali, verdure già cotte con salse, estratti di carne, zuppe, paste istantanee, pasticceria industriale, bevande gasate, bevande zero e alcoliche, carni in scatola, insaccati, hot dog, etc.) consola momentaneamente, ci appesantisce e aumenta l’insoddisfazione. 
  • Se conduciamo una vita sedentaria, per attivare l’abitudine quotidiana al movimento preferire le scale all’ascensore, scegliere percorsi a piedi o in bicicletta per attivare una buona circolazione, laddove non sia possibile parcheggiare la macchina il più distante possibile dal luogo di destinazione, gustare il piacere di passeggiate nei parchi o nelle stradine di campagna beneficiando di un momento per noi stessi: respiriamo, osserviamo il fogliame e i colori della natura che ci avvolge e circonda come una madre premurosa, la madre terra.

Il significato simbolico dell’ansia

UN MESSAGGERO INATTESO CHE PORTA IN CONSEGNA UN DONO: IL RISVEGLIO DELL’ENERGIA EMOZIONALE INESPRESSA

L’identità emozionale è un valore.
Le emozioni passano attraverso il nostro stato fisiologico, la nostra comprensione del mondo e la crescente percezione di noi stessi; devono essere riconosciute e comprese per tenere alto il livello dell’energia psichica.


Quando siamo in bassa energia non riusciamo a tradurre ciò che realmente non vogliamo essere, non vediamo l’intima relazione nella polarità di luce e ombra.
Il lato ombra ci appartiene, è identificativo di consapevolezza, conoscenza e nutrimento, in una risalita verso la luce, in accoglienza.
Il rifiuto del lato ombra reprime la meraviglia alla vita, soffoca le emozioni primarie, “analfabetizza” la comunicazione profonda, limita l’istinto primitivo per poi fondersi nella paura del mondo interiore ed esteriore.
L’ansia, pur essendo un compagno di viaggio scomodo, a tratti irritante, invalidante e terrificante, è un passaggio obbligato verso il risveglio emozionale, verso l’integrazione del lato ombra e il processo di individuazione liberato da un’energia che fluisce, non più costretta a respingere l’ombra.

…quando apriamo le finestre della nostra anima,
i nostri occhi devono essere pronti
ad accogliere qualsiasi scenario,
non possiamo sperare di vedere
solo il nostro orizzonte.

Pensieri in volo, di Stefania Campanelli

L’ANSIA NEL RIFLESSO SOMATICO:
abbraccia sensazioni di apprensione, oppressione e nodo alla gola, calore o brividi di freddo, spesso accompagnate da tensione muscolare (diffusa nella parte alta della schiena a livello scapolare, a volte raggiunge anche il collo, e nella parte bassa, in corrispondenza dello stomaco), mancanza di respiro, incapacità a rilassarsi, difficoltà di concentrazione, stanchezza, irritabilità, tachicardia, insonnia.

L’ANSIA PUÒ ESSERE DISTINTA IN:

  • Fisiologica “normale” o ansia buona: è la risposta dell’individuo nei confronti di un pericolo oppure di un particolare tipo di stress, un meccanismo atto alla sua sopravvivenza in risposta alla necessità di adattamento ambientale. L’ansia normale è diretta contro uno stimolo esistente che consente alla persona di mettere in atto una serie di comportamenti e risposte finalizzate a superare la condizione che hanno dato origine alla sensazione di tensione (es. l’ansia da prova d’esame dello studente). Se stiamo vivendo una situazione stressante l’ansia buona diventa “amica”, invitandoci a rallentare i ritmi e a prendere consapevolezza della necessità di sviluppare e potenziare sicurezza, forza e autostima.
  • Patologica: diviene tale quando invalida notevolmente la qualità della vita dell’individuo, ostacolandone anche le più semplici attività e influenzando negativamente i suoi atteggiamenti in ambito sociale. Si manifesta con frequenza, in maniera eccessiva e sproporzionata rispetto alla situazione concreta, perdura nel tempo (per diversi mesi o addirittura anni). A volte, la persona si abitua a vivere in questa gabbia di espressività negate, tanto che spesso non viene diagnosticata in tempi brevi o correttamente.

Quando l’ansia si trasforma in panico

Si avverte il suo arrivo da lontano, ci si sente sopraffatti, senza scampo, per poi vederlo scivolare via e dileguarsi. Tra le varie somatizzazioni le più frequenti sono: tachicardia, brividi, sensazione di soffocamento, perdita dell’equilibrio, formicolio, paura di perdere il controllo e/o di impazzire, paura di morire. Spesso dopo il primo attacco di panico si vive la quotidianità nella continua angoscia e preoccupazione che si possa verificare nuovamente (ansia anticipatoria: paura di uscire di casa o di restare soli per brevi tragitti). La durata di un attacco di panico in media è di 20-30 minuti ma per chi lo sperimenta sembra un tempo molto più lungo.

CONSIGLI NATUROPATICI

  • Corretto stile di vita e Alimentazione: ci sono numerose evidenze scientifiche sui benefici di un’alimentazione sana ed equilibrata, come la dieta mediterranea, per migliorare e/o ridurre l’ansia. È importante fornire al corpo in modo corretto e bilanciato tutti i componenti fondamentali per il sistema nervoso come amminoacidi e vitamine. I cibi da prediligere nelle giuste quantità sono quelli ricchi di principi nutritivi che attraverso diversi meccanismi innalzano la serotonina (neurotrasmettitore del cervello basilare per la serenità e il benessere mentale): frutta come kiwi, ananas, ciliegie, banane, prugne, e verdure a foglie verdi e pomodori, cacao e cioccolato con moderazione; cibi ricchi di triptofano (amminoacido che si trova sia nelle proteine vegetali che animali) come latte, yogurt e formaggi. Ottimi alleati sono anche gli Omega 3, acidi grassi contenuti nella carne bianca, pesce azzurro, alghe e alcuni semi oleosi (di lino, di kiwi, di vinaccioli o relativi oli). 

cibi da limitare, poiché contengono una o più molecole nervine stimolanti, sono: il caffè, il caffè al ginseng e al guaranà (per la presenza comunque di caffeina), tè fermentati, drink energetici, zuccheri, alcolici per la presenza di alcol etilico che provoca una sensazione immediata di rilassamento alla quale però segue un peggioramento della sintomatologia ansiosa.

  • Floriterapia: Agrimony per l’ansia che assale all’improvviso, Heather per affrontare l’ansia da abbandono e la solitudine (utile nei casi d’ansia che somatizza con sintomi neurovegetativi), Chicory per l’ansia da vuoto affettivo incolmabile, Mimulus per l’ansia prestazionale, Red Chestnut per l’ansia da separazione, Scleranthusper l’ansia “ormonale”, Cherry Plum per l’ansia da ipercontrollo, un bouquet floreale per affrontare l’ansia generalizzata prevede la seguente associazione di fiori di Bach: Heather, Agrimony, Aspen, Red Chestnut. Per l’attacco di panico sono utili Rock Rose e Rescue Remedy.
  • Gemmoterapia: sono indicate le gemme di Ficus Carica (fico) e Tilia Tormentosa (tiglio).
  • Tisane e/o Infusi: sempre utili momenti dedicati, accompagnati con una tazza di valeriana, melissa, biancospino e passiflora; è importante valutare, in base al caso specifico, quali delle suindicate Tisane e/o Infusi vanno utilizzate e come.  
  • Altro sostegno integrativo può essere dato dall’utilizzo congiunto di Oligoterapia e Aromaterapia: in questo caso possono essere suggeriti oligoelementi come: Manganese – Cobalto, in aggiunta è possibile inserire anche il Magnesio; mentre in Aromaterapia sono consigliati gli oli essenziali di lavanda, melissa, camomilla e arancio amaro (possono essere utilizzati per inalazione tramite un diffusore di essenze, per assorbimento epidermico per mezzo di massaggi).

Importante: gli oli essenziali non vanno mai utilizzati puri è sempre importante diluirli, nel caso del massaggio in un olio vettore. Prima di mettere in pratica consigli aromaterapici, è bene rivolgersi ad un Professionista, in quanto gli Oli Essenziali, se da un lato hanno proprietà e qualità atte a migliorare il benessere psicofisico, dall’altro – al pari di ogni altra sostanza – essendo estremamente concentrati possono provocare effetti indesiderati (ad es. irritazione di mucose e/o cute e reazioni allergiche).

Il loro uso non sempre è indicato.